domenica 5 febbraio 2012

RECENSIONE MUSICA: Wilco - Yankee Hotel Foxtrot




"Cos'è sta musica?
Sono passati 30 secondi da quando ho messo in play iTunes, e non ho ancora sentito uno straccio di melodia.
Possibile che sto disco dei Wilco sia una fregatura? Eppure ne parlano così bene...
...
No, aspetta. Ecco che sta partendo qualcosa.
Sono delle chitarre lontane...Ma che diavolo di percussioni usano?
...Ecco che le chitarre si fanno più sonore... Splendidi anche i sintetizzatori...
E... Il pianoforte? Che cazzo c'entra? Dissonante, perlopiù...
....
Ok, l'ultimo pezzo era carino... Ma è 1 minuto che va avanti sto bordello!
Violini distorti, pianoforte offuscato...
...Oh, meno male che è finita..."

-  A fine disco -


"Dio santo, questo album è un capolavoro. Come ho fatto a vivere senza finora?"
...

Sono queste le 2 reazioni che avrete ascoltando questo album, e saranno determinate soltanto da una successione cronologica.
La devastante bellezza delle sue canzoni demolirà anche i più prevenuti.
Le sue chitarre acustiche, dolci ed avvolgenti, riempiono il cuore di genuine emozioni, sconvolgendo l'ecosistema di noia-indifferenza che vi alberga da fin troppo tempo.
La voce di Jeff Tweedy (il frontman della band americana), spesso delicata e malinconica, in alcuni casi è addirittura straziata, e arriva a toccare le corde più intime dell'anima.
Preparatevi dunque ad un ascolto che vi obbligherà a mettere in replay ossessivo, mai sazi delle succulente sensazioni provocate dalle note di questi sgangherati musicisti.

L'esordio, almeno ai primi ascolti, non è dei migliori: "I'm Trying to Break Your Heart" è di gran lunga la canzone più sperimentale dell'album, con tutti i suoi effetti sonori, le sue sghembe melodie, il suo stonato pianoforte e i suoi synth impazziti. Rischia di spiazzare l'ascoltatore, ed è proprio quello a cui aspira.
La canzone successiva, "Kamera", ha una melodia così catchy da diventare istantaneamente l'inno nazionale della doccia e dei momenti liberi, mentre a demolire l'allegria ci pensa la straziante tristezza di "Radio Cure" che, aiutata dagli effetti sonori e dalla collaborazione tra chitarre e malinconici synth, sgonfia il cuore. Per la prima volta nell'album, si sentono le strascicate corde vocali del cantante, finalizzate ad enfatizzare il momento di disperazione.

E per la serie "Si ride per non piangere" ecco che arriva la saltellante "War On War", che tratta con incredibile spensieratezza il tema della guerra, anche stavolta aiutata da una melodia deliziosamente orecchiabile.


A seguire c'è probabilmente la canzone migliore dell'album: "Jesus Etc".

La dolcezza metropolitana è perfettamente resa nella morbidezza tanto delle percussioni quanto degli strumenti (violino e chitarre perfetti).
La voce è strepitosa, dannatamente malinconica. I suoi alti e bassi sono come un ottovolante di sentimenti, fanno vivere la precarietà delle emozioni, degli amori, della vita. Una canzone da cantare ad occhi chiusi, con un amaro sorriso sul viso e testa disperatamente rivolta al cielo.

"Ashes Of American Flags" potrebbe essere tranquillamente la colonna sonora di un film post-apocalittico; le sue pesanti percussioni e la sua rassegnata melodia evocano lontane realtà felici... Pensandoci, è anche una perfetta colonna sonora dell'attuale apocalisse artistica, del mondo che sta andando a puttane, dei sogni infranti e del "sogno americano" trasformatosi in un incubo.
Arriva immediatamente dopo il colpo di sponda, "Heavy Metal Drummer", pezzo dolcemente ironico con (guardacaso) grande presenza del batterista e, per completare il quadretto, la splendida "I'm The Man Who Loves You", se possibile ancora più ironica e dissacrante.
Una canzone che canta d'amore spensierato, strambo e goffo; spesso, quando l'ascolto, personifico la buffa chitarra elettrica in un uomo imbranato e impacciato che cerca di corteggiare l'amata con scarso successo, fino a conquistarla con la sua testarda dolcezza. E non so quante altre canzoni facciano questo effetto.

A chiudere, infine, c'è la tripletta "Pot Kettle Black" - "Poor Places" - "Reservations" che, in un crescendo di delicatezza e rassegnazione, partono dal rock piuttosto deciso per finire con le sfumature a dir poco emozionanti degli ultimi 7 minuti. Qui la voce diventa eterea, solleticando dolcemente tutte le emozioni provate in precedenza e lucidando gli occhi con un goccio di malinconia liquida.

"Yankee Hotel Foxtrot" è il capolavoro del decennio 2000/2010, poco da fare.
Parla all'anima come un amico vissuto in vena di chiacchiere, mentre suona silenziosamente le sue paradisiache melodie usando la vostra anima come chitarra.
Ascoltatelo o riascoltatelo il prima possibile, è il rimedio migliore contro il virus dell'insensibilità.

VOTO: 10